Lo studio sui bambini di 5-11 anni nello Stato di New York che avevo citato[1] nel precedente articolo su questo Magazine è stato nel frattempo pubblicato su JAMA.[2] I dati e la Figure che li presenta sono analoghi a quelli del preprint, e si vede che nei bambini, tra 42 e 48 giorni dalla 2a dose del vaccino Pfizer, la negativizzazione della protezione è statisticamente significativa (IRR 0,7; intervalli di confidenza da 0,6 a 0,8: dunque anche con l’intervallo di confidenza più alto inferiore del 20% al livello dei non vaccinati). Nel testo, però, gli autori commentano la discesa solo fino a un mese e pochi giorni dopo l’ultima dose, quando la protezione non era ancora caduta sotto il livello dei non vaccinati, fermandosi a un IRR 1,1 (da 1,1 a 1,2). Pur rilevando tale incredibile omissione degli autori, riesco comunque a sorprendermi che possano concludere: “questi risultati supportano gli sforzi per aumentare la copertura vaccinale dei bambini…”.

È stata pubblicata anche un’ampia ricerca su soggetti provenienti da 49 Stati USA,[3] di disegno caso-controllo test-negativo, che dunque per definizione considerava soggetti sintomatici (NB: altre ricerche hanno ben dimostrato che il declino nel tempo della protezione è molto maggiore nei confronti delle forme asintomatiche).[4] La ricerca mostra negli adolescenti, che non ricevono le dosi ridotte dei bambini di 5-11 anni, già dopo 5 mesi una discesa non significativa della protezione da infezioni sintomatiche sotto al livello dei non vaccinati; il calo di protezione diventa statisticamente significativo tra 6 e 7 mesi, per tornare non significativo a 8 mesi, probabilmente grazie alla dose di richiamo/terza dose.

I dati italiani relativi ai bambini 5-11 anni, pubblicati dall’ISS,[5] sono in linea con quelli esposti: la sequenza settimanale presentata nella Lettera 102 si fermava al Rapporto ISS del 20 aprile, in cui i vaccinati con due dosi presentavano già un +25% di diagnosi di COVID-19 rispetto ai non vaccinati. La successiva progressione settimanale è stata: +29%, +33%, +34%, +35%, come mostra il grafico riprodotto (la data sull’asse delle ascisse corrisponde alla data centrale dell’intervallo di 30 giorni a cui si riferiscono le diagnosi incluse in ogni Rapporto). (NB: nel Rapporto 8 giugno, appena uscito, scende a +29%).

Un osservatore ha fatto notare tra i bambini di queste età anche tendenze alla convergenza nei tassi di ospedalizzazione dei soggetti vaccinati rispetto ai non vaccinati (v. grafico, dati ISS)

Anche tra adolescenti e giovani adulti di 12-39 anni si può constatare una perdita di protezione dei vaccini verso le diagnosi di COVID-19. Ad esempio, il Rapporto ISS del 23/2/2022 mostrava che i non vaccinati avevano diagnosi di COVID-19 1,6 volte più dei vaccinati con ciclo completo di pari età, e 3,3 volte più di coloro che avevano ricevuto il booster.[6] Meno di tre mesi dopo, nel Rapporto del 18/05/2022,[7] i numeri corrispondenti sono diventati 1,0 e 1,0, senza più alcuna protezione dalle diagnosi di COVID-19, con un declino di efficacia particolarmente rapido in chi ha ricevuto il booster.

Anche nei soggetti di 40-59 anni si nota lo stesso fenomeno: in queste classi di età sia i vaccinati con 2 dosi da meno di 120 giorni, sia quelli con 3 dosi, pur partendo in considerevole vantaggio a gennaio, hanno perso velocemente protezione rispetto ai non vaccinati, arrivando nel Rapporto del 31 maggio addirittura a un 20% circa di diagnosi di COVID-19 in più.

Fanno eccezione i vaccinati da >120 giorni, che risultano più protetti dei non vaccinati: il dato sembra incoerente, ma la spiegazione più probabile è che parte di questi si sia infettata con la contagiosissima variante Omicron, acquisendo sia una deroga al booster, sia una protezione ben più robusta di quella conferita da questi vaccini.

Restando agli adulti, una ricerca su una coorte nazionale scozzese conferma quanto già più volte citato per l’Inghilterra: la progressiva e rapida perdita di protezione verso i casi positivi negli adulti vaccinati.[8] Prima delle conclusioni, gli autori dichiarano “The level of protection waned over time, and we found that after around 15 weeks [n.d.r.: 3 mesi e mezzo!] since a second vaccine there was a greater risk of symptomatic infection compared with unvaccinated individuals.”

Si rimanda alla Table 2 dell’articolo originale[8], di cui è riprodotto uno stralcio con ulteriori commenti nella slide n. 25 della presentazione consultabile qui.

Tra le osservazioni più rilevanti: nella popolazione scozzese considerata, l’efficacia pratica vaccinale relativa riportata verso la variante Delta[8], rispetto ai non vaccinati, è -98%; da -109 a -87%, per i soggetti di 16-49 anni. E per i soggetti ≥50 anni –45%; da –65 a –28%.

Gli autori poi si avventurano in quelle che considerano possibili spiegazioni, della cui plausibilità è lecito discutere: “fattori di confusione residui” o “maggiori contatti sociali nei vaccinati, che credono di essere ancora protetti 3-4 mesi dopo la 2a dose…”. Tali spiegazioni non sembrano convincenti, in particolare se si osserva il trend di crescita dei casi positivi nei vaccinati, presentati nel grafico a fianco, basato sui dati inglesi che fino a qualche settimana fa lo consentivano. È anche eloquente il fatto che l’UK Health Security Agency abbia annunciato la decisione di non pubblicare più la tabella con i dati da cui il grafico è ricavato, a partire dalla settimana 14/2022.[9]

Se si compie poi l’esercizio di osservare la progressione dei casi positivi tra i vaccinati (che oltretutto dalla settimana 3/2022 sono solo quelli con almeno 3 dosi) nelle sole classi di età 18-69, corrispondenti a quelle in cui si collocano quasi tutti i lavoratori della Sanità, si vede che l’aumento di casi positivi tra i vaccinati con booster è ancora maggiore: non “solo” 2,8 volte di più rispetto ai non vaccinati, come risultava nella popolazione generale (con tripla dose – linea rosso scuro), al momento in cui la pubblicizzazione dei dati è stata interrotta, ma oltre 4 volte per le sole età lavorative (18-69 anni, linea rosso acceso).

Ciò mostra quanto sia paradossale l’obbligo vaccinale nei confronti dei sanitari, motivato da una presunta tutela dei loro assistiti. I dati reali mostrano invece che a distanza di mesi dall’ultima dose i vaccinati con almeno 3 dosi sono una fonte potenziale di infezione molto maggiore dei non vaccinati. Ciò mette per paradosso a maggior rischio proprio la platea di assistiti fragili che le leggi sull’obbligo si propongono di proteggere. Le nuove acquisizioni scientifiche dovrebbero portare al superamento di un obbligo che appare ormai del tutto privo di supporto di prove scientifiche e di significato, in particolare per professioni considerate a maggior rischio di trasmissione, e le strategie adottate sinora andrebbero decisamente modificate. Ad esempio, in ambienti considerati ad alto rischio di trasmissione un tampone antigenico ogni 5-7 giorni darebbe garanzie di bassa contagiosità ragionevoli,[10,11] e comunque superiori a quelle fornite, allo stato delle conoscenze, da una vaccinazione ogni 6-12 mesi. In ogni caso, per il principio di precauzione si dovrebbe subito frenare la spinta a booster universali.

  1. Effectiveness of the BNT162b2 vaccine among children 5-11 and 12-17 years in New York after the Emergence of the Omicron Variant (medrxiv.org) (v. Figure 2)
  2. Risk of Infection and Hospitalization Among Vaccinated and Unvaccinated Children and Adolescents in New York After the Emergence of the Omicron Variant | Adolescent Medicine | JAMA | JAMA Network
  3. Association of Prior BNT162b2 COVID-19 Vaccination With Symptomatic SARS-CoV-2 Infection in Children and Adolescents During Omicron Predominance | Adolescent Medicine | JAMA | JAMA Network (v. Figure 2)
  4. Waning mRNA-1273 Vaccine Effectiveness against SARS-CoV-2 Infection in Qatar – PMC (nih.gov)
  5. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/aggiornamenti
  6. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_23-febbraio-2022.pdf
  7. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_18-maggio-2022.pdf
  8. Severity of omicron variant of concern and effectiveness of vaccine boosters against symptomatic disease in Scotland (EAVE II): a national cohort study with nested test-negative design – The Lancet Infectious Diseases
  9. COVID-19 vaccine surveillance report – week 13 (publishing.service.gov.uk) Oppure: https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/1066759/Vaccine-surveillance-report-week-13.pdf
  10. Longitudinal Assessment of Diagnostic Test Performance Over the Course of Acute SARS-CoV-2 Infection | The Journal of Infectious Diseases | Oxford Academic (oup.com)
  11. Comparison of SARS-CoV-2 Reverse Transcriptase Polymerase Chain Reaction and BinaxNOW Rapid Antigen Tests at a Community Site During an Omicron Surge: A Cross-Sectional Study: Annals of Internal Medicine: Vol 175, No 5 (acpjournals.org)

Autore

Torna in alto